Chi assiste un anziano affetto da deficit di memoria o decadimento cognitivo si trova ogni giorno in una posizione delicata, spesso dolorosa. Il volto è lo stesso, lo sguardo può sembrare vigile, la persona sembra "presente"… eppure qualcosa di fondamentale non c'è più: la continuità del pensiero, la memoria recente, la capacità di elaborare la realtà in modo coerente.

Non è solo dimenticanza. È un'altra realtà.

Quando un anziano chiede le stesse cose a distanza di dieci minuti, non lo fa per dispetto o per distrazione. Lo fa perché quella informazione non si è mai impressa nella sua mente. E ogni nuova ripetizione sembra, per lui, una prima volta.

Il caregiver, spesso un figlio, una moglie, un marito, cerca inizialmente di "spiegare", correggere, far ragionare. Ma presto si accorge che quel meccanismo non funziona.

Non è questione di far capire: è questione di accettare che la capacità di capire si stia sgretolando.

Ed è inutile arrabbiarsi o portare avanti lotte impossibili per tentare di cambiare un percorso fatalmente inesorabile.

Il paradosso dell’apparenza

Uno degli aspetti più destabilizzanti è che l’anziano può apparire perfettamente normale all’esterno. Parla, si muove, sorride, talvolta ha momenti di lucidità. Questo rende difficile – soprattutto nelle prime fasi – accettare che ci si trovi di fronte a una vera e propria malattia neurodegenerativa, non a una semplice "vecchiaia".

Questo contrasto tra apparenza e realtà confonde, stanca, mette in crisi il caregiver, che fatica a calibrare le sue reazioni: è giusto arrabbiarsi? È utile spiegare ancora una volta? Perché non ascolta? E soprattutto: perché nessuno mi ha preparato a tutto questo?

Il decadimento cognitivo: oltre la memoria

Con il tempo, oltre alla memoria, viene compromessa anche la capacità di ragionare, di pianificare, di comprendere concetti complessi. L’anziano può diventare sospettoso, confuso, talvolta aggressivo o disorientato. I riferimenti logici saltano, le conversazioni perdono coerenza, i comportamenti possono diventare imprevedibili.

Tutto questo rende la gestione quotidiana emotivamente logorante. Perché ogni giorno si ha l’impressione di perdere un pezzetto della persona amata, e allo stesso tempo ci si sente in dovere di restare lucidi, presenti, pazienti.

Il carico emotivo del caregiver

Chi assiste vive spesso una condizione di stress cronico, senso di colpa, solitudine. Non è raro che il caregiver sperimenti ansia, insonnia, irritabilità, senso di inadeguatezza. In alcuni casi arriva a trascurare sé stesso, perché tutto ruota intorno all’altro.

L’accettazione del quadro clinico diventa quindi non solo un atto razionale, ma anche una scelta di sopravvivenza emotiva: accettare che quella persona non tornerà come prima, e che l’obiettivo non è “guarire”, ma rallentare il declino, evitare complicazioni, garantire dignità e sicurezza.

Cosa si può fare?

Anche se non si può fermare la malattia, si può fare molto per migliorare la qualità della vita dell’anziano e del caregiver:

  • Routine semplici e rassicuranti
  • Attività cognitive leggere e adatte al livello del paziente
  • Terapie farmacologiche specifiche, prescritte da uno specialista
  • Sostegno psicologico per il caregiver
  • Assistenza esterna (operatori domiciliari, centri diurni, gruppi di supporto)

Accudire un anziano con decadimento cognitivo è un compito che richiede amore, ma anche realismo, forza e consapevolezza. Accettare che certe dinamiche non si possono cambiare non significa arrendersi, ma proteggere sé stessi e l’altro da inutili frustrazioni.

È un cammino difficile, fatto di ripetizioni, pazienza e piccole vittorie invisibili. Ma anche in questo percorso, la cura ha senso, e ogni gesto – anche il più semplice – ha un valore profondo.