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La stimolazione cognitiva: un’arma in più contro la demenza

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La stimolazione cognitiva La stimolazione cognitiva

Negli ultimi anni, i miglioramenti nello stile di vita e nella qualità delle cure mediche hanno determinato una progressiva crescita del numero degli individui nella fascia più anziana della popolazione. Di conseguenza, è aumentata anche l’incidenza delle malattie neurodegenerative correlate all’età. Pertanto, risulta sempre maggiore la necessità di interventi di riabilitazione per i disturbi delle funzioni cognitive, affettive, emozionali e comportamentali, tipici in questi quadri clinici.

Le terapie non farmacologiche nel trattamento delle demenze sono sempre più richieste. Con terapia non farmacologica si intende qualsiasi intervento condotto con la persona affetta da demenza e/o con i caregivers familiari, mirato e replicabile, basato su approcci teorici fondati e potenzialmente in grado di fornire qualche beneficio dimostrabile o clinicamente rilevante (De Beni & Borella, 2015). Nello specifico, l’approccio non farmacologico, sfrutta la riserva cognitiva e le potenzialità residue della persona con demenza, con l’obiettivo di stimolare e attivare quelle funzioni cognitive non completamente deteriorate.

Che cos’è la riserva cognitiva?

La riserva cognitiva è la capacità del nostro cervello di far fronte attivamente ai cambiamenti dovuti all’età o ad un danno cerebrale, utilizzando abilità cognitive di compensazione o “di riserva”, quindi trovando modi alternativi per completare un compito.

Ad oggi, sappiamo che la riserva cognitiva è determinata dalle esperienze maturate nel corso della vita. Per esempio, l’esercizio fisico, avere una buona rete sociale, una corretta alimentazione, una corretta igiene del sonno e l’impegno in attività cognitivamente stimolanti sono tutti fattori che incidono positivamente sulla riserva cognitiva di ciascuno di noi.

Perché è così importante?

Il concetto di riserva cognitiva nasce dall’osservazione che spesso non esiste una relazione diretta tra l’entità del danno cerebrale e la gravità dei sintomi che il paziente manifesta (De Beni & Borella, 2015). Infatti, si presuppone che davanti a due pazienti con la stessa diagnosi, quello con una maggiore riserva cognitiva, tollererà più a lungo una lesione anche molto più grave, prima che siano evidenti i segni della compromissione cerebrale (De Beni & Borella, 2015). Da qui, l’importanza di incrementare la riserva cognitiva, mantenendola in costante allenamento.

Se la demenza è caratterizzata da una progressiva perdita delle funzioni cerebrali, ha senso allenare il cervello? Assolutamente sì!

Gli studi scientifici hanno mostrato evidenze positive di più cicli di trattamento all’interno di un anno. La differenza sta negli obiettivi che ci poniamo. Ovviamente, nel paziente con demenza, non sarà possibile rinforzare o ripristinare le abilità cognitive e comportamentali che sono state perse. Tuttavia, si potrà rallentare la perdita la perdita delle capacità cognitive e delle attività della vita quotidiana non ancora intaccate dalla malattia (De Beni & Borella, 2015)

Durante il trattamento, i compiti saranno selezionati e presentati seguendo il principio della gradualità. Inizialmente, verranno proposti compiti che la persona è ancora in grado di svolgere per poi procedere con esercizi sempre più semplici o semplificati ma mano che la malattia progredirà (Iannizzi et al., 2015).

Quindi che cos’è la stimolazione cognitiva?

La stimolazione cognitiva implica il coinvolgimento del paziente in compiti che riguardano la quotidianità con il fine di stimolare genericamente l’attività mentale. Lo scopo sarà quello di rallentare il più possibile la perdita delle capacità cognitive non ancora intaccate dalla malattia e mantenere un buon funzionamento nelle attività di vita quotidiana. Queste attività includono sia la somministrazione e la ripetizione di esercizi specifici, ma possono includere anche metodi di compensazione come l’addestramento all’uso di strategie e ausili.

Tra le attività che possono essere proposte per il paziente, alcune con il coinvolgimento del caregiver familiare, ci sono:

  • Terapia della Reminiscenza: è un intervento riabilitativo nel quale il ricordo diventa lo strumento principale per stimolare le risorse mnesiche residue, in particolare la memoria autobiografica e, per favorire il recupero di esperienze emotivamente piacevoli (De Beni & Borella, 2015). Tale tecnica di intervento sfrutta la naturale propensione dell’anziano a rievocare il proprio passato. L’obiettivo consiste nel favorire questo processo in maniera spontanea, rendendolo però consapevole e volontario (De Beni & Borella, 2015). Inoltre, l’utilizzo di questa tecnica contribuisce a prevenire il processo di disintegrazione della personalità, infatti attraverso un allenamento mentale sarà possibile arricchire i propri ricordi e facilitare gli aspetti relazionali.
  • Terapia di Orientamento alla Realtà (ROT): è un intervento finalizzato a riorientare il paziente rispetto a sé, alla propria storia e all’ambiente circostante. Si fonda sulle teorie cognitive che hanno l’obiettivo di modificare comportamenti disfunzionali, migliorare l’autostima del paziente e ridurre la tendenza all’isolamento. Attraverso stimolazioni multimodali (verbali, visive, scritte, musicali), si rafforzano le informazioni di base rispetto alle coordinate spazio- temporali dell’ambiente di vita. La ROT può essere svolta sia in modo “formale” attraverso specifici protocolli, ma anche in modo “informale” con il coinvolgimento del caregiver, per esempio, fornendo al paziente indicatori di orientamento spazio-temporale o nell’insegnare strategie di memoria.
  • Training cognitivo: è una parte del processo riabilitativo che mira all’esercizio delle funzioni cognitive attraverso l’utilizzo di compiti specifici. Il training si basa sul concetto di ripetizione e sui presupposti della plasticità cerebrale, ovvero la capacità del cervello di modificarsi in risposta alle stimolazioni ambientali (Iannizzi et al. 2015). La pratica ripetuta di specifiche abilità cognitive può guidare il cervello nella riorganizzazione delle funzioni (riorganizzazione funzionale), compensando le abilità perse a causa della lesione o supportando le abilità preservate (Iannizzi et al., 2015).

Fonti:

De Beni, R., Borella, E. (2015). Psicologia dell’invecchiamento e della longevità. Bologna: Il Mulino.

Iannizzi, P., Bergamaschi, S. Mondini, S., Mapelli, D. (2015). Il training cognitivo per le demenze e cerebrolesioni acquisite. Guida pratica per la riabilitazione. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Martedì, 26 Ottobre 2021